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Quando il gioco non è uno scherzo

Nell’immaginario collettivo, il gioco d’azzardo è una pratica circoscritta agli ambienti dei casinò e delle bische clandestine. La realtà degli ultimi anni ha visto intervenire, tuttavia, alcuni importanti mutamenti. Il gioco d’azzardo è diventato un passatempo “popolare”, e coinvolge utenti sempre più giovani. Esso si alimenta principalmente di lotterie di stato, giochi online e slot machines, che dal 2008 infestano circoli e bar.

Ma cos’è il gioco d’azzardo? “Azzardo” deriva dalla parola araba az-zahr che significa “dado”. Nella definizione del TULPS (art. 110) e secondo il codice penale (art..718-721 c.p.; art. 1933 c.c.), il gioco d’azzardo comprende quella sfera di giochi in cui ricorre il fine di lucro e in cui la vincita o la perdita dipendono totalmente dal caso (tecnicamente detto “alea”). In realtà la miriade di giochi legali a disposizione comprende sia quelli di azzardo sia i cosiddetti skill games su videoterminale – in particolare il poker-, che dipendono dalle abilità del giocatore.

Oggi si può parlare di gioco d’azzardo come vera e propria industria, legale e illegale, fatta di investitori, pubblicità, apparecchi, operatori e utenti. Il marketing aggredisce la nostra vita quotidiana, abbassando la percezione di “rischio” insito nel settore: dal supermercato alla pubblicità online, ai tg, sempre attenti ad aggiornare i cittadini circa i montepremi delle lotterie e l’erogazione delle (rare) supervincite. Siamo invasi sempre più da macchinette che creano nel comune cittadino l’illusione di poter improvvisamente uscire dalla crisi senza troppa fatica.

Il lavoro che non c’è, il legislatore distratto, la lenta recessione: tutto sembra volgere verso un progressivo peggioramento delle condizioni di vita. Unico appiglio resta il “sogno” di trasformare questa sensazione di decadimento in un futuro –privato,  non collettivo- fatto di rendita. Sogno “proibito” inseguito soprattutto dalle fasce di popolazione più colpite dalla crisi e dalla disoccupazione. Secondo una ricerca di Eurispes (“L’Italia in Gioco”, 2010), chi ha un reddito basso gioca sperando in una vita più agiata (il 28% dei giocatori), mentre chi ha un reddito medio-alto lo fa per divertirsi e/o per provare l’ebbrezza del gioco (il 46% dei giocatori). La maggiore propensione al gioco spetta alle fasce deboli e precarie: nel 36,1% dei casi si tratta di operai/commessi; ma anche casalinghe (27,5%), studenti (26,5%), pensionati (19,5%), e solo in minima parte di dirigenti (19%) e imprenditori (16,4%).

L’Italia, tra i maggiori mercati al mondo per volume di giocate (circa 61 mld nel 2010) e relativi introiti erariali (circa 8 mld) nel settore del gioco d’azzardo, è anche una delle economie più colpite dalla crisi, complice la scarsa dinamicità del mercato e la pervasività di attori mafiosi che sempre più l’insidiano, e complice uno Stato che negli ultimi anni ha incentivato indirettamente la popolazione ad investire i propri risparmi nel gioco, anziché cercare soluzioni per aumentare l’occupazione. Solo nei primi quattro mesi del 2011 gli italiani hanno giocato in media 400 euro pro capite (fonte Agicos). Si crea così un fenomeno paradossale: mentre le aziende falliscono o sopravvivono, l’indotto dei Giochi cresce a dismisura, il Fisco incassa e finanzia, con i giochi, restauri e ricostruzioni (come quella in Abruzzo, dove i proventi non sono mai arrivati a destinazione). Una tassazione di dubbia moralità, contraria al principio della redistribuzione, se si tiene conto del fatto che, in termini relativi, essa grava maggiormente sugli strati sociali deboli (non a caso lo studioso Mauro Croce l’ha definita una “tassa sulla povertà”). In una recente inchiesta de L’Espresso (n.21 del 26/05/2011, p. 58), il prof. Razzante solleva dei dubbi circa la riconducibilità di tali somme alla sola economia legale, attribuendo gran parte dei flussi al riciclaggio di denaro illecito. Se dunque la proliferazione dei giochi legali era volta a contrastare il gioco illegale e ad aumentare le entrate fiscali, di fatto fornisce una vasta gamma di strumenti per il riciclaggio, utilizzati dalla criminalità di stampo mafioso e dai professionisti che ricevono tangenti “non dichiarabili”.

L’Europa sembra consapevole delle derive connesse all’aumento esponenziale del gioco d’azzardo legale. Nel marzo 2011 la Commissione Europea, raccogliendo gli stimoli del Parlamento Europeo (risoluzione del 10/03/2009; studio della Commissione IMCO del novembre 2008) e del Consiglio dell’Unione Europea (conclusioni del 10/12/2010), ha pubblicato could i have herpes un Libro verde sul gioco online e sta conducendo consultazioni allo scopo di introdurre una regolamentazione comunitaria che tuteli maggiormente le parti coinvolte, senza vincolare tuttavia i mercati nazionali che transitano dal monopolio alla liberalizzazione.

Da qualche anno si indica nel gioco d’azzardo la fonte di nuove dipendenze, dalle conseguenze non sono solo in campo sanitario, ma anche economico ed affettivo. Il gioco d’azzardo, inoltre, risulta essere sempre più una delle cause principali del ricorso a debiti da usura. Le mafie, consapevoli del divario tra alto profitto e limitato rischio/sanzione, hanno scoperto così la nuova “frontiera” per i propri affari: non solo per pulire denaro di provenienza illecita, non solo per prestare denaro ad usura, ma anche per praticare estorsioni ed ottenere nuova liquidità, mediante la gestione di macchinette truccate intestate a società prestanome (fonte: Relazione 2010 della DNA). Anche in Piemonte si ha notizia dei primi inequivocabili casi di infiltrazioni mafiose nel settore: è recentissimo il sequestro, da parte della Guardia di Finanza, di apparecchi clonati, assemblati e gestiti da famiglie ‘ndranghetiste radicate nell’hinterland torinese (La Stampa, 19/05/2011).